Le forme di discriminazioni crescono ed ecco riacuirsi il razzismo  “interno”, fra nord e sud.

 

                                                                                                   Di Angela Scalzo

 

“Un caso fotocopia a quello reso pubblico è successo l’anno scorso sempre nella provincia di Treviso e sempre ai danni di un bambino napoletano. Era il  periodo  dell’emergenza rifiuti in Campania e i bambini di una scuola elementare di Loria presero di mira un loro compagno di otto anni, di origine napoletane, denominandolo con disprezzo “monnezza”. Allora intervenne il dirigente scolastico e il sindaco fu costretto a chiedere scusa a nome della città.

Lo chiamavano “figlio di camorrista”i bulli attuali. Dicevano che “puzzava” perché era “meridionale”. In classe i compagni gli cantavano il coro che l’eurodeputato Matteo Salvini intonava nelle feste di piazza: “Senti che puzza, scappano anche i cani. Stanno arrivando i napoletani”. Il piccolo Antonio è stato bocciato , perdendo l’anno, non sopportava che i suoi compagni lo insultassero. La mamma non denuncerà la direttrice anche se in quella scuola il figlio non entrerà mai più.”
In particolare due casi  che denunciano una situazione di razzismo dichiarato ai danni di concittadini  nati al sud e residenti per lavoro o studio al nord Italia.

Una vecchia forma di razzismo interno, nato con la grande migrazione degli anno 60 a seguito del boom economico, che sembrava ormai superato, risolto ma che riaffiora pericolosamente .

 E  Non è un caso,  questo riaffiorare di forme di razzismo. Le attuali politiche restrittive legate alla sicurezza, unitamente all’inasprimento della legge sull’immigrazione, adottate appunto  dal governo italiano,  hanno alimentato in molti un sentimento di paura nei confronti dell’altro, ma  anche di rifiuto e,  questo “sentire razzista”, non può che espandersi a macchia d’olio e coinvolgere  tutte le categorie più deboli della società, prima i ROM, poi gli immigrati neo comunitari, poi gli stranieri in generale, parallelamente  i nativi del sud, insomma il rifiuto di ogni tipo di diversità sia essa fisica (legata alla razza) sia essa linguistica, sia essa economica.

Una volta aperto il vaso di “pandora” poi è difficile richiuderlo. Dopo aver alimentato  il tarlo del razzismo è difficile ristabilire  quella serena convivenza fra autoctoni e cittadini provenienti dal nostro sud piuttosto che da paesi lontani. Per promuovere una società interculturale,  bisognerebbe prima di tutto ritornare ad una legislazione equa e poi lavorare tanto con i minori, sensibilizzazione nelle scuole soprattutto,  perché rappresentano il terreno fertile per le nuove generazioni.

Bisogna  reagire anche disubbidendo!