Se è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio..allora …? dal libro “Oltre il Pregiudizio” di Angela Scalzo

 

 

Partiamo dalla famosa frase di Albert Einstein:

“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.”

Percorriamo la  strada che conduce alla  condizione necessaria ma non sufficiente,   rappresentata dal riequilibrio del rapporto Nord/sud del mondo  che, a sua volta, non può essere  risolto unicamente attraverso  la politica economica dei paesi sviluppati.

Oggi esiste un abisso tra  il Nord ed il Sud del mondo, quell’abisso è il mar Mediterraneo,    che ha inghiottito migliaia di persone, un mare di scambi economici e di relazioni culturali e non     soltanto  di conflitti.

Occorre quindi  e soprattutto,  promuovere, contemporaneamente,  una  profonda innovazione di tipo culturale. Si tratta di alfabetizzare grandi masse  e, soprattutto, di favorire  un’ adeguata educazione ai diritti umani   sulla base di una condizione reale di pari opportunità, garantite  anche da una  coerente  politica demografica e di   laicizzazione  delle culture dominanti.

 

Altra condizione  decisiva è quella dell’effettiva affermazione di questi diritti anche nel Nord, del mondo, in quei paesi dove sono germogliati ma dove non sempre si sono  adeguatamente  affermati e  radicati.

In particolare la questione è di vitale importanza  nella nostra Unione Europea, che  deve  assumere ancora una precisa identità politica ma che certamente  costituisce una realtà multietnica e multiculturale  e deve fronteggiare giudiziosamente la questione immigrazione.

Su questo tema assistiamo, purtroppo,  ad una battuta d’arresto. Anche nelle più evolute  democrazie occidentali  si sono verificate  profonde fratture e contraddizioni, ricreando un’odiosa distinzione tra  cittadini autoctoni e di origine straniera o migranti.

Le conseguenze possono essere tragiche: in Italia ad esempio, si calcola che  senza l’afflusso di nuovi immigrati, la popolazione scenderebbe, nel giro di alcuni decenni, a quaranta milioni di abitanti, in gran parte anziani, con un ulteriore repentino calo delle nascite,  mentre  il tenore di vita  sarebbe inevitabilmente destinato  a precipitare.

Tutto questo vuol dire che,  per mantenere le attuali condizioni , occorrono circa venti milioni di nuovi afflussi, ma significa anche che conservando le attuali  contraddizioni,  ben presto un terzo della popolazione risulterà escluso dal pieno godimento dei diritti  civili  e  politici.

E’ giusto? E’ coerente con i nostri principi? Potremo dire ancora di vivere in  una società democratica? Sarà possibile  mantenere la pace sociale a queste condizioni?  Fino a quando ci riusciremo, che prezzo dovremo pagare?

Ma soprattutto qual è, e quale è stata, la coesione e la pace sociale nelle società esclusive? E per quanto può durare ?

Quali conseguenze avrà per la democrazia questa incapacità di trasmettere e rinnovare i valori su cui si fonda ?

Attualmente quasi tutti i paesi  occidentali,   si trovano nelle stesse condizioni: fondate  sull’affermazione dei diritti umani  e sull’uguaglianza  dei cittadini,  praticano l’esclusione, spesso  a costo di profonde contraddizioni e pericolose lacerazioni.  Anche quelli che non si rifanno ad una politica  “sovranista”, oggi hanno adottato, quale  comune denominatore, politiche di paesi europei del gruppo  Visegrad,   come Polonia, Ungheria, di conseguenza anche l’Italia inneggia, con il governo oggi in crisi,  alla sciagurata politica Trumpiana.  Tutto ciò rappresenta una nuova  esperienza storica: in  passato  la discriminazione  è sempre stata coerente all’organizzazione sociale e politica  e  il razzismo  non era che uno dei tanti aspetti  dell’emarginazione.

Quando nel ‘38 Mussolini introduce le leggi razziali, ci troviamo di fronte ad un ulteriore atto di sopraffazione  e di barbarie, organico e coerente con il regime : senza nessuna frattura e  contraddizione.

Lo stesso   passaggio dallo stato liberale a quello fascista si era verificato  all’insegna della continuità  della discriminazione, basti pensare alla condizione femminile o del proletariato.

Il fascismo,  pertanto, più che una frattura, aveva rappresentato un’ulteriore

esasperazione del sistema attraverso  l’esplicitazione del  metodo della violenza.

In ogni  società esclusiva il  razzismo e le discriminazioni  sono, quindi, sempre organiche  e coerenti  con le istituzioni,  pertanto  il  razzista è perfettamente integrato al tessuto sociale ,  gode stima e considerazione, così come  il mercante di schiavi,  o lo  schiavista della società romana,  o medioevale e persino il peggior  maschilista della più remota  tribù  patriarcale.

Eppure, ancora oggi , in America, in molte realtà europee, compresa l’ Italia, questi   personaggi fanno brutalmente rivivere forme di razzismo, xenofobia e discriminazioni all’interno di società apparentemente democratiche.

Perché la  cultura della quale  sono espressione non è affatto morta, è soltanto divenuta minoritaria, una  sottocultura, ancora troppo diffusa e radicata , che ha cercato  di nascondersi e mimetizzarsi per sopravvivere, ha atteso un avallo istituzionale che è arrivato da noi ed in quei paesi che orgogliosamente di definiscono sovranisti.

Così  il pregiudizio che sfocia in razzismo,   mantiene intatta tutta la sua pericolosità  e  diventa un Iceberg: tutto quello che  resta a galla  ed è evidente non è che  la  parte più  piccola, quella insopprimibile e non manipolabile, originata da  antiche paure, alimentata da  nuovi interessi, socio politici,  esasperata da incertezze e ansie  ricorrenti,  permeata da una mentalità  vecchia e  disarmata di fronte alle sfide sociali dell’innovazione e del cambiamento.

Per questo, poiché   facilmente riconoscibile,  potrebbe essere unanimemente  condannato ed  è anche  facilmente scongiurabile:

come  il razzismo degli stadi, quello dei neo fascisti, quello dell’antisemitismo  grezzo, dell’ antimeridionalista, del maschilismo criminale dei femminicidi, del fanatismo religioso.

Oggi sciaguratamente   sdoganato da una politica becera che alimenta la paura del diverso, sia esso Rom o immigrato, comunque facente parte della minoranza povera ed emarginata,  socialmente e politicamente.

Forse il vero pericolo è quello  di  credere che questo di  oggi sia ancora  il volto vero e più significativo del razzismo; ma  altrettanto subdolo è il neorazzismo,  sicuramente  più rischioso, perché  vive sotto  mentite spoglie e si  ripropone in termini completamente diversi  con nuovi stereotipi e  xenofobia.

Una società multietnica e multiculturale non è, quindi,  necessariamente una società pluralista e democratica, così la discriminazione, dopo la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, deve diventare  più sofisticata e la giustificazione dell’esclusione deve  battere nuove vie, mettendo da parte  vecchi linguaggi  e luoghi comuni. Si parla di invasione, di minaccia identitaria,  di criminalità, basti pensare alla nostra attuale politica  migratoria che ne ha fatto uno slogan di propaganda elettorale.

Pregiudizi e stereotipi  collettivi, ma anche individuali:

“ Non sono razzista ma … “  esordisce il neorazzista, e via con una serie di negazioni dei diritti umani, che vanno  dalla libertà di  migrazione,  al diritto al  lavoro, fino ai diritti  civili e politici, negati,  in nome della cittadinanza nazionale, di una identità esasperata da paure ed ignoranza,  forse ultimo privilegio legato alla nascita,  sopravvissuto in Occidente.

Così, mentre egli stesso escluso, vive  ipocritamente o inconsapevolmente , la sua contraddizione, i suoi pregiudizi intrisi di stereotipi, i suoi governi, vincolati da un rispetto formale dei patti sottoscritti,  non danno vita ad una legislazione razzista ma  ad “una regolamentazione dei diritti umani”, naturalmente biecamente pregiudizievole e restrittiva.

Non potendo legittimare una discriminazione, la  negano,  arrogandosi il compito di somministrare  il godimento di tali diritti ad alcuni, piuttosto che a tutti, sulla base di alcuni requisiti arbitrari, piuttosto che senza condizione alcuna,  senza aver titolo legittimo  per svolgere tale  incarico,  sottraendosi  invece al dovere di  garantirli e tutelarli.

Nasce così una nuova figura di escluso, non più tale per  razza, sesso, ceto, religione o credo politico. Il nuovo escluso, una volta tanto non è più fuori legge , non è diverso, non è un mostro: è un  irregolare, erroneamente chiamato  “clandestino”, senza neppur aver toccato il nostro territorio, oppure perché la nostra attuale legislazione  gli ne ha negato il diritto.

Una lunga, complicata e incomprensibile  pratica   burocratica, fatta di cavilli legislativi discriminanti, a volte anticostituzionali che rendono precarie e ricattabili situazioni già legate ad abusi  fisici e psicologici.

L’attuale  politica dei muri, il blocco delle frontiere, fino a giungere ai nostri porti chiusi che contribuiscono a rendere il mare nostrum un cimitero subacqueo di persone senza nome, senza età, senza sesso, dove nessuna madre potrà mai piangere il proprio figlio!

Come è possibile che tutto ciò avvenga ? Come è possibile che un paese “democratico” accetti queste storture a nome di una non bene identificata “identità nazionale” da salvaguardare? Come è possibile, oggi, permettere tutto ciò?

E’ evidente che c’è un grave ritardo culturale dovuto al fatto che i diritti umani non sono ancora un patrimonio di valori e di cultura conosciuto, condiviso ed assimilato.

Per realizzare il villaggio globale della democrazia e superare il pregiudizio, dunque,  non solo occorre  promuovere  il progresso economico e  sociale  nei paesi  emergenti  ma è  fondamentale  radicare  tali valori nel  tessuto sociale ed istituzionale  dell’Occidente e dell’Unione Europea in particolare.

Un’Europa  che nel1989 accoglieva festosamente la caduta del muro di Berlino e sperava un nuovo mondo privo di barriere, è divenuta una inaccessibile fortezza che difende i propri confini pagando autocrati come Erdogan per bloccare i flussi dei migranti, sottoscrivendo accordi con i clan libici, torturatori di migranti.

Da Shenghen a Dublino passando per Maastrict, negli anni ’90 abbiamo firmato accordi senza promuovere politiche solidali ed inclusive. Abbiamo prodotto invece barriere, fili spinati e muri della vergogna.

Purtroppo nelle democrazie, anche nella nostra, la ricerca del consenso politico , se deve fare i conti con un contesto culturale  inadeguato , diventa un ulteriore motivo di blocco e di  incoerenza  con l’aggravante che  spesso si è in grado di cogliere le contraddizioni ma non di superarle positivamente.

Da qui i rigurgiti di razzismo tradizionali che trovano espressioni in un Leghista come Salvini e che rispondono ad un’esigenza di  coerenza e di conseguente  legittimazione  di atteggiamenti, sentimenti e pregiudizi  a lungo repressi, mai del tutto estirpati e, più o meno consapevolmente ed irresponsabilmente, coltivati nel terreno dell’incoerenza, dei pregiudizi, degli stereotipi  e della  manipolazione.

Quanto può durare  questo equivoco? In che modo possono essere superate queste contraddizioni? Tornando sui nostri passi ?  Ripercorrendo strade  rovinose o procedendo  lungo un percorso difficile ma  costruttivo ?

Come possiamo difenderci dal neorazzismo strisciante ed istituzionale?

Probabilmente queste sono le domande dalla cui risposta dipende il futuro della democrazia  e di fronte alle quali si avverte un profondo disagio della cultura contemporanea, che pare venire meno al suo ruolo di coscienza critica. Servono indubbiamente “educazione” e “formazione”   per  interpretare un ruolo positivo  che deve accentuare e qualificare l’apertura alla contemporaneità, non solo in termini di conoscenze ma di stimolo critico, individuando, con precisione,  “competenze e saperi essenziali”.

Ma si deve, altresì, partecipare intenzionalmente alla  realizzazione di un nuovo progetto politico, assumendone tutte le responsabilità, anche di ordine etico, che le competono, ossia: “la sfida del nuovo secolo, la costruzione del villaggio globale della democrazia, è fondata sul pieno riconoscimento dei diritti  umani”.  Ricordandoci sempre che le nostre libertà si trovano sempre oltre il muro dei pregiudizi.