Una storia di straordinaria indifferenza di Alessandro Ferroni
Siamo morti consumati dal freddo, a pochi metri dal confine. Io, mia moglie e i nostri due bambini. Mio figlio,Dharmik, se n’è andato per primo. Aveva tre anni. Mi ricordo il suo sguardo incantato prima di partire, quando raccontavo la neve. Vedeva assieme alle mie parole volare i morbidi fiocchi, adagiarsi sulle cose. Il Canada ricoperto da cedevoli distese di zucchero a velo. In uno zainetto da viaggio i suoi giocattoli preferiti, animati da sogni. Come noi del resto. Il sogno di una vita migliore, più facile. Lontani dai drammi della disoccupazione e dalle strade polverose di Dingucha, il nostro villaggio in India. Terra sterile di futuro.
Il mio più grande desiderio è sempre stato di vederli crescere felici. Lui e Vihangi, nostra figlia di undici anni. Volevamo lasciar loro un mondo migliore rispetto a quello che ci ha ospitato. Si tratta di una volontà istintiva, quella che ci ha fatto lasciare casa e volare in Canada. Per loro eravamo pronti ad attraversare le distese ghiacciate ed arrivare in America. Terra di sogni e opportunità, dove la ricerca della felicità è riconosciuta come motivazione primaria dell’essere umano. Così hanno fatto a migliaia dal nostro villaggio. Attirati da quei manifesti pittoreschi. Da quei volantini che dipingevano l’America come un paradiso nell’immaginario collettivo. Ma noi l’America l’abbiamo solo sfiorata.
Siamo morti a pochi metri dal confine, a pochi metri dai nostri sogni. Nulla ho potuto contro il freddo. Nulla ha potuto l’amore che arde infinito. Non sono riuscito a sciogliere la neve, ne a percorrere l’ultimo miglio. Ho abbracciato i miei figli per l’ultima volta. Li ho stretti mentre il calore dei loro corpi si faceva lontano. E quando il furore della tormenta ha strappato loro il respiro, sono rimasto da solo. Con le lacrime gelate negli occhi prima che potessero rigarmi il viso. Senza poter vedere i loro volti, poiché sepolti dalla notte nera come la pece. Non li ho potuti neanche toccare, non sentivo più le dita. Allora mi sono rifugiato nel torpore del sogno, dove li ho stretti per l’ultima volta. Così ho perso la vita.
Di Alessandro Ferroni 29/01/2022